"Ora, il punto di vista di Baudelaire è che, nel momento nel quale con Delacroix l'immaginazione scaccia dal regno dell'arte l'idea del vero assoluto, nel momento in cui gli sforzi delle generazioni di letterati e critici succedutesi nel corso di un secolo intero a partire dall'età dei Lumi si incarnano in un'estetica nuova, non più mimetica ma espressiva o immaginativa, la fotografia aggrava la frattura tra domanda di vero assoluto e offerta di immaginazione"
- Antonio del Guercio
La critica d'arte
Dimensioni: 19,5x15,5 cm
Data: 1996
Editrice: Editori riuniti
La raccolta è tratta dagli scritti sull'arte.
Baudelaire esercita l'attività di critico d'arte in un momento nel quale si concentrano in Francia tematiche espressive reciprocamente alternative, (la compresenza di autori come Ingres, Corot, Delacroix, Daumier, Courbet) caratterizzate dall'alto livello degli artisti che ne sono i portatori, mentre sono ben presenti all'orizzonte del suo tempo le vicende che dal terzo decennio del settecento in poi avevano avviato un nuovo corso dell'arte in Francia.
La disgregazione del neo-classicismo di cui la Francia non farà più domanda, il farsi luce delle nuove atmosfere romantiche all'inizio dell'800; le tematiche di passione, furia eroica e morte, sino al terribile primo piano di neve fango e sangue della Battaglia di Eylau, dipinta da Gros.
Un'anticipazione diretta delle tematiche di corpo possente e doloroso che saranno, quasi dieci anni dopo il ritorno con Ingres del modello raffaellesco e manierista; Corot che fonde una visione con i più alti risultati della pittura di paesaggio del '600 con nuove sintesi formali delle quali la pittura moderna si gioverà fino alle ultimissime fasi dell'800; l'ulteriore fase romantica segnata da Delacroix, che assume per Baudelaire un valore di riferimento decisivo; l'intervento di Courbet portatore di una pittura orgogliosamente priva di rimandi metafisici o idealistici.
Il testo che Baudelaire dedica alla fotografia del Salon nel 1859 ha il titolo di "Il pubblico moderno e la fotografia", si pone quindi subito il nuovo mezzo tecnico di riproduzione del vero all'interno di una tematica più sociologica e pratica che non propriamente estetica.
La prima parte del testo non ha nulla a che vedere con il tema della fotografia, è solo ad un certo punto che Baudelaire parte all'attacco della nuova "industria", destinata a dare un vero e proprio colpo di grazia a quanto di "divino" poteva ancora esserci nello spirito dei Francesi.
Questi, in maggioranza, pensano che l'arte possa essere soltanto riproduzione puntuale della natura. La moltitudine che era in attesa di un evento di questo genere ha visto la fotografia come nuova e suprema forma d'arte. C'era un'idea in effetti ingenua (o volgare), secondo quale l'arte fosse fedele o passiva imitazione delle fenomenologie del reale, alla quale si affiancava l'altrettanto ingenua, se non insensata, idea che la fotografia desse assolute garanzie d'esattezza.
Che queste garanzie d'esattezza non sussistano nella fotografia Baudelaire non ne dà una dimostrazione di tipo ottico, trova piuttosto la prova di una infedeltà sostanziale della fotografia al vero nelle espressioni concrete, e allora più diffuse, della nuova tecnica.
Sono le scene di gruppo in funzione ritrattistica o celebrative in maniera grossolana, con allestimenti classicheggianti e scenari in cartapesta.
Quelle tra le quali i soggetti, in vesti involontariamente carnevalesche, assumono pose da eroi, mantenendo per il tempo necessario all'operazione la loro "smorfia di circostanza".
Il vero che viene tradito è dunque la normale, feriale, apparenza delle persone e degli ambienti, alla quale la fotografia sostituisce la volgare esibizione della smorfia provocata dalla messa in posa dei protagonisti in funzione di un'immagine nobilitata.
Il rapporto tra posa e smorfia è un argomento più volte affrontato tra i temi della volgarità della fotografia nei testi del 1859 di Baudelaire, d'altra parte è la contestazione della idea stessa dell'imitazione dal vero, o della restituzione di una verità assoluta della natura a sorreggere queste tesi.
La fotografia si dovrebbe quindi, secondo Baudelaire, orientare a fini pratici, documentari e archivistici, e non le dovrebbe essere permesso di invadere il dominio dell'impalpabile e dell'immaginario, quello nel quale l'uomo aggiunge la propria anima a ciò che vede.
Il pittore Wiertz citato da Benjamin nel suo testo "Piccola storia della fotografia" in un suo scritto afferma:
"..prima che sia passato un secolo questa macchina [la fotografia] sarà il pennello, la tavolozza, i colori, l'abilità, l'esperienza, la pazienza, la lestezza, la pregnanza, la tinteggiatura, la velatura, il modello, il compimento, l'estratto della pittura.."
Anticipando con toni retorici tipici dell'epoca tutti i futuri decretatori della finis picturae.
Benjamin osservò che sia Baudelaire che Wiertz omisero di tener conto delle indicazioni implicite nell'autenticità della fotografia.
Questa diventando sempre più capace "di afferrare immagini fuggevoli e segrete, blocca nell'osservatore il meccanismo dell'associazione", esigendo quindi una "didascalia che includa la fotografia nell'ambito della letteralizzazione di tutti i rapporti di vita, senza la quale ogni costruzione fotografica è destinata a rimanere approssimativa."
In L'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità tecnica di nuovo Benjamin allude al fatto che
"è stato sprecato molto acume per decidere se la fotografia fosse un'arte, - ma senza che ci si fosse posta la domanda preliminare: e cioè, se attraverso la scoperta della fotografia non si fosse modificato il carattere complessivo dell'arte [..] Le difficoltà che la fotografia aveva procurato all'estetica tradizionale, erano un gioco da bambini in confronto a quelle che il cinema avrebbe suscitato"
Ci si può adesso riagganciare a Baudelaire nel 1859, e al centro del problema che si pone a proposito della fotografia. Egli parla in nome di un estetica che non è quella tradizionale basata sul mimesis, e che pertanto non è posta di fronte a particolari difficoltà dall'esistenza della fotografia, poiché è all'insegna della "regina delle facoltà", ossia l'immaginazione, rivendicata in uno dei capitoli del Salon del 1859.
Le questioni poste dalla fotografia, nelle modalità e negli aspetti allora diffusi, sono quelle di un'aggravamento della domanda di verismo.
Il punto di vista di Baudelaire infine è che "nel momento nel quale con Delacroix l'immaginazione scaccia dal regno dell'arte l'idea del "vero" assoluto, nel momento in cui gli sforzi delle generazioni di letterati e critici succedutesi nel corso di un secolo intero si incarnano in un'estetica nuova, non più mimetica ma espressiva o immaginativa, la fotografia aggrava la frattura tra domanda di "vero assoluto" e offerta di immaginazione."
La trasformazione del carattere complessivo dell'arte, di cui nel secolo successivo parlerà Walter Benjamin, è già percepita da Baudelaire, - ma con ragione - come un processo autonomo dell'arte stessa nel suo percorso di affrancamento da subalterne funzioni documentarie o illustrative.
Un processo rispetto al quale la fotografia interviene come un elemento esclusivamente inerente alle condizioni sociologiche entro le quali l'arte agisce o dovrà agire.