Il francese Niepce riuscì a sensibilizzare alcune lastre con il bitume di Giudea, un particolare tipo di asfalto, come descrisse suo figlio in una lettera (siamo intorno al 1826).

Niepce - 1827 - Vista dalla finestra a Le Gras, Eliografia

“Stese su una lastra di peltro del bitume di Giudea sciolto in olio animale di Dippel (un’olio medico ndr.)
Su questa vernice colloco’ l’incisione da riprodurre dopo averla resa traslucida ed espose tutto alla luce, immerse la lastra in un solvente e a poco a poco l’immagine divenne visibile, per renderla adatta all’incisione la immerse in acqua acidula, mandò la lastra ad incidere per rendere il disegno più profondo.”
Il disegno nero dell’incisione tratteneva la luce, che invece passava attraverso la carta bianca, il bitume diventava insolubile e poteva essere tolto con olio di lavanda.
Il metallo della lastra messo così a nudo poteva essere trattato all'acquaforte ed essere trasformato in lastra pronta per la stampa.
Di questa lastra furono tratte copie fino al 1870.
L’invenzione fece epoca, fu la prima di quelle tecniche fotomeccaniche che eliminarono la mano dell’uomo in riproduzioni di immagini di ogni sorta.
Oltre che per le lastre da incisione il procedimento al bitume fu usato per ottenere positivi su metallo o lastre di vetro.
Provò con scarso successo a fissare l’immagine della camera oscura con lo stesso procedimento, l’esposizione durò più di otto ore. (Vista dalla finestra a Le Gras).
In un viaggio verso Londra Niepce si fermò a Parigi dove conobbe Daguerre, specializzato nel dipingere scene per teatro popolare, anch’egli era interessato a fissare le immagini della camera oscura.
A Londra Niepce tentò di registrare il brevetto della sua invenzione alla Royal Society, la quale si rifiutava di accettare la richiesta senza che ne venisse svelato il procedimento, Niepce non volle divulgare la sua tecnica, e scoraggiato dalla mancanza di interesse dell’Inghilterra per l’eliografia si concentrò nel realizzare immagini tornando in Francia nel 1829 “con l’unico obiettivo di copiare la natura con la massima fedeltà”
Il 4 dicembre 1829 Niepce e Daguerre firmarono un accordo di società per 10 anni, ma Niepce morì quattro anni dopo, Daguerre continuò da solo la ricerca, nel 1835 il “journal des artistes” osservava che Daguerre era riuscito nel suo intento di fermare le immagini su lastre con risultati convincenti.
E’ del 1837 un “dagherrotipo” (nome dato dal suo inventore) di natura morta, immagine precisa nei dettagli, ampia gamma di sfumature, realismo convincente nella struttura, contorni, volumi, esso mostra tutte le possibilità di questo nuovo mezzo grafico destinato a rivoluzionare l’arte di creare immagini.

Daguerre - 1837 - Natura morta, Dagherrotipo

La tecnica usata includeva l’uso di sostanze come ioduro d’argento, mercurio, cloruro di sodio, l’immagine era registrata su una lastra di rame placcata d’argento di 16x21 cm.
Le parti luminose erano fissate in un amalgama di mercurio, le ombre dalla superficie a specchio non esposta. L’immagine passava da negativa a positiva se vista contro un campo scuro.
L’idea iniziale di Daguerre era di commercializzare la sua invenzione includendo i chimici e le istruzioni dettagliate, decise poi di cercare di vendere il brevetto allo stato francese, in modo da averne una rendita a vita.
La notizia della scoperta arrivò fino in Inghilterra, dove il caso volle che un altro inventore, Fox Talbot, in maniera indipendente da Daguerre, riuscì a inventare un procedimento quasi identico.
Fox Talbot si dilettava a creare disegni con la camera lucida, ma tutte le volte che rientrava in una camera oscura e vedeva proiettate le immagini sulla parete si accorgeva di tutti i limiti che il disegno aveva rispetto alla realtà, per questo decise di voler trovare un sistema per “fissare” queste immagini su un foglio senza dover intervenire manualmente ma facendo dipingere alla luce.

Fox Talbot - 1839 -   esemplare botanico, Disegno Fotogenico

Il passo successivo di Talbot fu quello di cercare di fissare le immagini proiettate nella camera oscura, le esposizioni duravano più di un’ora e rimanevano su carta solamente le luci più vive.

Fox Talbot - 1839 - Lacock Abbey, Disegno Fotogenico

Ottenne risultati migliori con camere oscure portatili molto piccole fornite di lenti di diametro relativamente grande, le immagini erano di 6,50 cm quadrati, quindi molto piccole, quasi lillipuziane, si era fatto una collezione di piccole camere oscure, dopo aver scattato le portava tutte in casa e aprendole trovava in ognuna delle specie di miniature degli oggetti che aveva ripreso.
Si accorse dei limiti che avevano questi oggetti e si dedicò ad altro, ma sempre con l’idea di voler brevettare il procedimento presso la Royal Society inglese, una volta perfezionati.
Poco dopo Talbot annunciò che avrebbe rivendicato la priorità della sua invenzione su quella di Daguerre, affermando che l’idea sarebbe venuta prima a lui che a Daguerre.
Nel frattempo un altro scienziato, Herschel, si occupò di come ottenere dei risultati ripetibili con la camera oscura:
1) carta molto sensibile
2) camera oscura perfetta
3) mezzi per bloccare l’azione della luce successiva che potrebbero deteriorare il negativo.
Come Talbot sensibilizzò la carta con sali d’argento, il suo metodo per bloccare l’azione successiva della luce fece epoca, aveva osservato che un trattamento all’ ”iposolfito” di sodio protegge l’immagine dal deteriorarsi, la sostanza chimica oggi è nota con un altro nome, trisolfato di sodio, ma i fotografi continuano a chiamarla col vecchio nome di “iposolfito”.
Daguerre e Talbot adottarono immediatamente questa scoperta (quasi tutti i procedimenti successivi si baseranno su questa tecnica), a Herschel si deve anche l’invenzione del termine “Fotografia”, meno solenne di come veniva chiamata solitamente al tempo, cioè “Disegno Fotografico”
Materiali e apparecchiature presto vennero immessi sul mercato.

Bayard - 1839 - Natura Morta

Daguerre intanto ottenne il brevetto dallo stato francese, il progetto divenne legge e firmato dal re Luigi Filippo nel 1839 , Daguerre e il figlio di Niepce ricevettero il giusto riconoscimento per il loro lavoro.
Daguerre scrisse un opuscolo sul funzionamento del procedimento ed ebbe un enorme successo, produsse poi in accordo con Giroux un certo numero di apparecchi di legno portatili dotati di lenti telescopiche acromatiche prodotte da Chevalier di Parigi.
L'attrezzatura completa venne messa in vendita dopo la pubblicazione dell’opuscolo e venne esportata anche in altri paesi.
Non da meno anche Fox Talbot fece diverse conferenze in cui spiegava i suoi procedimenti, in tutto il mondo si sparse la voce della scoperta e migliaia di aspiranti vollero rivendicare il diritto di paternità dell’invenzione, infatti molte altre persone arrivarono ad avere gli stessi risultati dei due inventori alcuni sostenendo di aver avuto l’idea prima di loro.
Il più famoso di questi fu Bayard, che mise in mostra 30 delle sue fotografie a Parigi nel 1839.
Le tecniche di Daguerre e Talbot divennero comunque di uso comune, e regnarono incontrastate in tutto il mondo almeno per un ventennio.
Il governo francese ordinò a Daguerre di semplificare il procedimento e di ridurre le dimensioni degli apparecchi, i francesi erano preoccupati dal costo delle macchine e dalla grandezza degli apparecchi.
Le prime fotografie mostravano architetture o monumenti, i tempi troppo lunghi non permettevano ancora di fissare le persone.
Tra il 1840 e il 1841 furono pubblicate a Parigi 114 vedute topografiche dal titolo Excursions Daguerriennes, foto prese in Europa, Medio Oriente, e America, furono aggiunte con procedimenti post-stampa anche figure umane tramite fotomontaggi per aggiungere interesse e far piacere al pubblico.

Excursions Daguerriennes - 1839 - Una delle immagini realizzate - Volume 2 lastra 21

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