Introduzione al mezzo fotografico, sviluppo delle pellicole negative in bianco e nero, introduzione alla provinatura, ingrandimento e stampa del negativo, introduzione ai ritocchi (dodge, burn), spuntinatura della stampa eseguita.
Durante il workshop sono state distribuite dispense contenenti alcune nozioni di base di storia della fotografia.
Tramite proiettore è stato possibile far vedere una discreta quantità di artisti che usano ancora la pellicola (e la camera oscura) per produrre le proprie opere.
A destra il focometro usato per la messa a fuoco dei negativi e il marginatore per regolare la dimensione delle stampe, a sinistra la carta da camera oscura utilizzata durante il workshop e il materiale per la "spuntinatura" delle stampe.
In caso infatti che presentino piccole imperfezioni dovute a polvere sui negativi o nell'ingranditore le stampe necessitano di ritocchi da eseguire post-stampa con pennelli e una speciale tinta che reagisce ai materiali chimici presenti nella stampa e lega con essi.
La sensibilizzazione al mezzo fotografico analogico durante il workshop ha lo scopo di far capire il valore che l'immagine ha assunto negli anni.
C'è stata infatti, nella storia della fotografia, un'iniziale produzione limitata, una scelta di soggetti statici ed una fotografia "pensata", questo perché c'erano oggettivamente difficoltà sia economiche che tecniche a reperire i materiali necessari ad ottenere un'immagine soddisfacente.
Si arrivò poi ad un'invasione di fotografie nel periodo "d'oro" in cui spopolavano le Kodak portatili (e automatiche) 35mm, ed una sempre più pressante pubblicità da parte dei produttori di fotocamere che ammiccavano al consumatore con slogan del tipo "Tu devi solo preoccuparti di pigiare il bottone, al resto pensiamo noi".
Questi erano per contro anni in cui il consumatore stesso era invitato a fotografare qualsiasi cosa, fu un periodo in cui fiorirono gli album fotografici familiari, veri e propri "tesori" dai quali tirar fuori bellissime immagini che rappresentano ritratti, feste, usi e costumi, sogni di un'intera epoca.
C'è molta curiosità intorno a questi "oggetti" fotografici oramai caduti in disuso, l'avvento della fotografia digitale e l'evoluzione tecnologica successiva hanno portato al falso mito che ad ogni aggiornamento portato dai produttori si potessero avere immagini sempre migliori.
In tanti vedendo la mia Olympus OM1 o una Bi-ottica mi chiedono: "ma funzionano ancora? " nel loro immaginario le foto che producono sono probabilmente solo in bianco e nero, sfuocate non dettagliate, simili alla "Vista dalla finestra a Le Gras"
In realtà già ai tempi della OM1 (1973) si aveva in un corpo compatto tutto quello che serve ad avere risultati eccellenti.
Viene però quasi spontaneamente a galla la domanda: "Ma chi usa ancora questi mezzi?.. è sopratutto perché?"
Avendo queste macchine pochissime ghiere (Iso/Asa se è presente l'esposimetro, Apertura e Tempi) è più difficile confondersi sulla tecnica ed è più facile concentrarsi invece su ciò che conta (il soggetto che si sta fotografando).
In seconda istanza avendo "solo" 36 o 12 pose a disposizione si è meno portati a scattare a raffica e a dare più valore ad ogni singola fotografia.
A molti sembra alla fine di un rullino di aver scattato chissà quante foto, in realtà sono di sicuro meno di quante sarebbero state in digitale, ma ad averci passato/pensato più tempo sopra si è prodotta la sensazione di aver lavorato di più.
Al momento infine della provinatura e stampa delle foto in camera oscura, dovendo sviluppare l'intero rullino (e non ogni singola immagine a parte come in digitale) viene premiato sempre chi ha saputo tenere una coerenza narrativa e stilistica nelle foto che ha scattato. Se infatti con la nostra macchinetta analogica avessimo errato senza meta e scattato foto in condizioni di luce miste a soggetti casuali il risultato sarebbe stato deludente.
Facendo più volte questi errori e vedendoli su stampa si impara più velocemente come riuscire a dare un'impianto stilistico e narrativo ad un progetto fotografico, ed è qui' che acquista in parte il suo senso usare ad oggi un mezzo che viene dal 1800.
"Volevamo rendere la sensazione di come si lavora in una camera oscura, non potevano quindi mancare un'ingranditore fotografico da tavolo, delle vasche di sviluppo, fissaggio e stop, e gli accessori per lavare ed asciugare le stampe"
A sinistra l'ingranditore "vintage" Durst 609, a destra il porta-negativi con una striscia di 35mm, l'ingranditore è in grado di arrivare a stampare fino al formato di negativi 6x6cm su carta di grandezza equivalente al formato A3.
Sopra: l'accessorio per la pulizia delle stampe dai chimici in eccesso, a sinistra le "mollette" che tengono le stampe hanno dei piccoli gommini nel morso che evitano alle stampe di sciuparsi durante l'asciugatura.
In alternativa se si usa carta "baritata" possono essere adagiate su un telaio dotato di una struttura a nido d'ape che consente all'acqua in eccesso di scorrere via.
E' sempre sconsigliabile tentare di accelerare il processo di asciugatura in quanto si rischia di alterare la struttura interna della carta e diminuire la vita della stampa.
Sopra: la scheda della stampa torna utile in caso si voglia stampare in futuro altre copie del negativo, sapendo già i valori di esposizione e il contrasto della carta risulterà più immediato ottenere il medesimo risultato.
L'ingranditore usato non ha un porta-filtri, di conseguenza è necessario usare una carta che ha già una sua gradazione di contrasto.
A destra: alcune stampe di negativi scattati alla mostra Sulla Luna e oltre
Il workshop si è tenuto durante la "Giornata senza libri", in cui i ragazzi hanno la possibilità di approcciarsi al mondo del lavoro e conoscere professionisti di vario genere che presentano il loro mestiere.
Gli studenti sono sempre invitati a provare sul campo gli strumenti, a lavorare in gruppo e cercare di arrivare al risultato finale anche attraverso vie creative, sperimentali e non convenzionali.
Altri interessati alla pellicola sono sicuramente gli artisti, che sono già esperti sia di digitale che analogico, ma talvolta preferiscono quest'ultimo per una questione di formato.
Infatti se è vero che il digitale è vicino a superare la barriera dei 100megapixel c'è da dire che il sensore che riceve l'immagine è di soli 35mm di dimensione, sarà poi cura del processore integrato fare un'ingrandimento a tale risoluzione e salvare la foto sulla scheda in modo che sia leggibile ai Pc/Mac.
Per contro, come si può vedere nell'immagine sopra, l'analogico parte dagli stessi 35mm del digitale ma può arrivare a dimensioni molto più rilevanti.
Ciò consente di avere via via una "tela" sulla quale dipingere i propri soggetti molto più grande, il vetro attraverso il quale si guarda sui banchi ottici è enorme, rispetto a qualsiasi mirino digitale, consentendo all'operatore di potersi immergere nell'immagine, ed è possibile a parità di obiettivo inquadrare un'area maggiore, evitando la necessità di usare grandangoli che producono distorsioni e rimpicciolimento dei soggetti in lontananza.
La storia dell'arte negli anni si è evoluta fino ad arrivare a considerare la fotografia come forma espressiva al pari delle oramai accettate pittura e scultura.
L'iniziale riluttanza del mondo dell'arte era dovuta a come e cosa veniva rappresentato dagli artisti sulle tele all'inizio dell'800.
Erano necessari anni di tirocinio e duro lavoro di bottega per ottenere un risultato che fosse nientemeno che la più esatta rappresentazione (preferibilmente abbellita) del reale.
Il fatto di vedere che meccanicamente, senza alcun intervento "artistico" si potesse raggiungere una sempre migliore rappresentazione oggettiva del reale, metteva in seria difficoltà il mondo dell'arte e degli autori.
Si sentivano minacciati da queste nuove possibilità. I collezionisti avrebbero preferito comprare un paesaggio fotografato piuttosto che uno dipinto e gli studi dei pittori si sarebbero svuotati in favore degli studi fotografici dove era possibile fare una foto da stampare e ingrandire infinite volte.
C'è voluto infine che il mondo dell'arte si staccasse dall'oggettività del reale e che ci fosse l'avvento di quella che possiamo chiamare genericamente "arte moderna".
L'opera "One and Three Chairs" pone il problema filosofico su cosa può essere considerato "reale": l'oggetto di per sé, la sua rappresentazione fotografica in scala 1:1 o una sua accurata descrizione dal dizionario.
Ci fu la necessità anche di un pubblico e una committenza che fosse a quel punto in grado di "leggere" l'arte, ciò che si rappresentava dunque poteva non essere necessariamente ciò che esiste nel reale e come abbiamo visto anche la definizione del "reale" stesso diventò un problema di non poco conto.
La fotografia ha accelerato un processo inevitabile di "modernizzazione" dell'arte, ponendosi inizialmente come concorrente della pittura, poi come documento incontrovertibile - è fotografato quindi esiste, ma anche qui si aprirono varie discussioni su come potevano già in camera oscura essere manipolate - e trovando infine una sua via indipendente negli anni a venire.
Durante il workshop abbiamo analizzato alcune opere (che sono riproposte qui sotto) insieme all'insegnante di storia dell'arte, ci auguriamo che la storia della fotografia venga sempre più spesso riproposta già a partire dalle scuole medie.
Ha bisogno di un suo percorso di insegnamento parallelo ma indipendente rispetto alle altre materie, e farla conoscere è un dovere, in quanto la fotografia è oramai un mezzo con il quale ci rapportiamo quotidianamente, capirne le molteplici implicazioni e la complessità farà riflettere anche sull'uso che ne facciamo sia come autori che come fruitori.
Per tutte le foto nella pagina (c) dei rispettivi proprietari.
All the images (c) of their respective owners.
Qui sotto: estratti dei Pdf del corso
Anno: 2019 | Tipologia: Workshop, Press Kit, Materiale promozionale. | Lingua : Italiano – Inglese